Storia del panino vegetariano, le “finte” carni
Prima di affrontare dibattiti e decreti dell’Europa sulle finte carni e su quelle veg, occorre presentare chi scrive.
A cura di Alberto Capatti
Ho pubblicato "Vegetit" storia delle associazioni vegetariane in Italia dal 1904 al 1945, e raccontato, nella "Storia della cucina italiana", la loro rinascita negli anni ’50, con Capitini, quindi parlo con consapevolezza storica del problema, una storia in cui i vegani si chiamavano, in Italia, vegetaliani.
Riprendere ora il filo carneo dei dibattiti, domanda anzitutto di non dimenticare che fin dal primo ricettario, "Cucina vegetariana" di Enrico Alliata di Salaparuta, Hoepli 1930, polpette senza l’uso di carne erano presenti, e rientravano in un modello di cucina italiana declinato con ogni ingrediente, se pur destinato a simularne un altro, simile alla vista, diverso al gusto, ideologicamente corretto (o scorretto).
Una miscela di lenticchie, fagiuoli e piselli secchi permetteva di prepararsi un arrosto, delle scaloppine e delle bistecche in teglia servite con un contorno di patate fritte. Con le lenticchie, la ricotta, senza dimenticare i tartufi, si arrivava persino a degustare uno pseudo-pasticcio di fegato grasso. I vegetariani non trovavano lacune nel loro cibo, e potevano usare tecniche di cottura del tutto simili a quelle della buona cucina casalinga, servendosi dei soliti titoli delle ricette, utilizzando il prefisso pseudo solo riferendosi al foie gras.
Con questo, quella (finta) carne ha una lunga storia, e il fatto che un duca siciliano, produttore del vino Corvo, se ne fosse occupato conferisce valore, anzi credibilità al suo consumo.
Oggi lo scenario di queste opzioni, e delle critiche che suscitavano e suscitano, è divenuto europeo, proprio in quanto coinvolge direttamente e indirettamente la politica agricola comune, la P.A.C. Sotto gli occhi carni finte e vere, all’orizzonte c’è una legislazione con un preciso mandato, ed una conseguenza tassativa.
“Il divieto dell’impiego di denominazioni relative a carne e latticini” – così Linkiesta – “per prodotti che sono in realtà a base vegetale, ma che degli originali tendono a riproporre gusto, consistenza e apporto nutrizionale” “sarebbe uno stop senza appello, quindi, alla commercializzazione non solo dei veggie burger, ma anche delle salsicce vegane e di prodotti “tipo yogurt” o “sostitutivi del formaggio”.
E’ quanto emerge da un dibattito con allevatori, ambientalisti, vegetariani, in guerra, e dai rispettivi interpreti europei chiamati a fissare delle regole, ad approvare leggi e ad accogliere o respingere emendamenti. E non dimentichiamo, prova della complessità del problema, quelle carni nate in laboratorio da cellule animali che sono oggi la punta della ricerca. Difficile immaginare un contesto più difficile da gestire: se la finta bistecca è storia, con una ricetta di novant’anni fa, la sua realtà immediata è a sua volta piena di interrogativi che lenticchie e piselli secchi del duca di Salaparuta non necessariamente legittimano.
Gli emendamenti destinati a vietare la fake meat, la falsa carne, racconta il Corriere della Sera di sabato 24 Ottobre, sono stati bocciati, non così quelli del latte di soia, ma il duca di Salaparuta beveva latte di mucca. Una pagina sembra chiudersi a Bruxelles e non là dove convivono, guerreggiando, allevatori e vegetariani, amatori di carne e curiosi, stanchi della solita carne.
E il panino? per il suo stesso nome dovrebbe esser neutro e ne accettiamo il detto ripetendo pane al pane vino al vino, ma tutti sanno che può mutarsi in hamburger e rilanciare la guerra o la pace fra carnivori e veg, fra membri dell’Accademia del Panino Italiano e habitués di McDonalds, con esiti sempre più innovativi o sconcertanti.
Lo vogliamo dunque democratico, in ossequio alle leggi europee, in grado di accettare tutte le variazioni e tutti gli epiteti, anche quelli apparentemente compromissori, espressi con una malalingua, come il veggie burger.
Lo vogliamo anche italiano, e in tal caso le bistecche di Salaparuta sono un bel problema. Solo la qualità di ogni singolo ingrediente è in gioco e su di essa non si può barare. Se poi la salsiccia che intendo cuocere con l’uva, una salsiccia che non ha un grammo di carne e di grasso suino, darà un risultato modesto che le due fette di pane sottolineeranno, questo sarà solo uno stimolo a non desistere, a portare avanti o indietro la ricerca.
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