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Si da il caso che ho un amico posteggiato in Giappone. Un giorno è partito e, per ora, lì sta, con una fidanzata di lì, imparando la li, insegnando l’i.
D’accordo d'accordo: la pianto lì.
No dai, sul serio: ho superato il li...
A cura di Olga Orlandi
Questo amico si chiama Davide Lizzani, ma si è aggiunto un cognome a sua fantasia: Sivad. L’ho conosciuto per una faccenda cosmica; scritto così potrebbe sembrare che mi abbia fatto l’oroscopo, invece l’ho intercettato a suo tempo perché cercavo un giovane astrofilo nel circondario e, guarda un po’, lui aveva fondato il circolino dei GAM che è l’acronimo, niente di meno, che di “Giovani Astrofili Milanesi”, e così...
Fatto sta. Ora è a Tokyo e, nonostante il fuso, io che ho un ritmo circadiano dispari, riesco a scribacchiarmi in diretta vigile. Naturalmente lo perseguito per sapere com’è la vita giappa e, visto che sembra arreso alla mia curiosità morbosa, ne approfitto anche per saperne di pane e panini. Prima di cominciare a bersagliarlo di domande però, devo togliermi un dubbio decisivo...
OERRE: senti un po’ Dav... capiamo innanzitutto se ci sono le premesse perché t’interroghi sull’argomento: in Giappone il pane esiste giusto? E si consuma? Perché ho googolato “panino giapponese” e mi si sono srotolate ricette e gallerie di foto di specialità cinesi. E’ il motore ignorante o nell’arcipelago non si pratica la lievitazione? Eppure, nei cartoni animati degli anni ‘80, e anche nella fiction di Kiss me Licia, mi pare di aver visto schiscette con certi toast a triangolo impacchettati in candidi tovagliolini; ma non so se posso fidarmi dei Beehive: quelli chiedevano sempre le fettine panate!
DLS: ciao Olga, la tua è una domanda difficile, perché dipende da dove tracciamo la linea del confine della definizione di pane. Se per pane intendi una qualsiasi lievitazione di farina, ok. Ma se vuoi del pane commestibile, allora devi darti un bel da fare per acquistarne di decente. La cucina giapponese è fantastica ed è stata integrata con molte specialità orientali. Ma la cucina europea (soprattutto italiana) è arrivata qui transitando dagli USA. Con tutto il carico di dozzina che si può immaginare. Non a caso il sandwich è il panino che trovi negli anime (animation) e nei combini (convenience store).
OERRE: tira un po’ per la giacchetta la tua deliziosa fidanzata che ha certamente più cognizione di causa e casomai dei nonni, e domandale se, a parte oggigiorno che tutto il mondo è paese, anche nella cultura originaria nipponica esiste la panificazione o se storicamente era tutto “in riso”.
DLS: la deliziosa mi conferma che, storicamente, niente pane in Giappone. Nel pasto tradizione giapponese c'è sempre a sinistra la ciotola di riso e a destra l'okasu, ovvero il piatto principale. Il riso ha la stessa funzione che pasta e pane hanno da noi... a parte la scarpetta: quella proprio, con i chicchi non si può fare.
OERRE: ecco che, corteggiando con un po’ più d’insistenza l’algoritmo, qualcosa mi pare, di pane, di aver scovato; due generi d’immagine ricorrono: dei bauletti imbionditi in cassetta e dei paninetti rotondi e albini. Sbaglio? Sbaglia l’interne? Sono un’acquisizione recente o sono davvero apparecchiati col desco originale di lì?
DLS: Google-sensei non sbaglia: se cerchi il pane al supermercato trovi solo questi tostoni giganti imbustati con la stessa proprietà granulometrica della sabbia. Li chiamano pan, ma fanno schifo anche agli spagnoli.
OERRE: declino ogni responsabilità riguardo il giudizio sui gusti iberici e invece domando di più di pan: Altre forme? Altre farine?
DLS: ci sono dei cuochi giapponesi illuminati che riescono a preparare del pane croccante fuori e morbido dentro. Ma se il giapponese medio si fa il pane a casa, lo fa con una macchinetta apposta per fare i tostoni di cui sopra.
OERRE: e i prestinai? Sono una categoria o stanno tra il brusco e la crusca?
DLS: un giorno sono andato alla Shiseido perché mi pagavano per guardarmi la pelle. Parlando con i loro ricercatori mi sono lamentato della mancanza di panetterie in Giappone e uno di loro mi ha consigliato una certa Brasserie Viron... già nel pronunciarne il nome senti il portafogli alleggerirsi. Armato di fame, fiducia e del compenso della Shiseido, sono andato comunque alla Viron di Shibuya. Dalla vetrina mi ha guardato una sorta di treccia con le olive (altro sconosciuto in Giappone): l’ho comprata per scoprire di aver buttato 6€ in un burro a forma di pane.
Ieri invece ho trovato la pasticceria Korokoro, gestita da un monzese con ricette un po' fusion: sfogliatella ripiena di crema di latte di soia.
Era buona assai. Ma non mi ha fatto lo scontrino.
OERRE: ormai tutto il mondo è Bel Paese dunque...
bisogna ora che ti domandi e che, casomai, a tua volta ridomandi a chi ti sta intorno, con cosa, tipicamente, si spalma, si affetta, si unge e bisunge il pane giapponese. Ancora lasciamo fuori la dimensione global, restiamo in Klein: no logo, si luogo!
DLS: burro. Il burro sopra il tostone è un classico della colazione in Giappone. Ma non spalmato, solo appoggiato sulla scialba fetta calda. Oppure uova e bacon.
Nei ristoranti italiani, invece, l'aglio; perché gli americani non esportano solo la quasi democrazia, ma anche la quasi cucina italiana.
Ho provato a spalmare della Nutella sui tostoni sabbiosi, ma sono riuscito solo a scorticare un po' di mollica. In pratica ho spalmato il pane sulla Nutella.
OERRE: adesso si che voglio sapere del pane oggi, ora, adesso. Cosa si morde e fugge? Cosa si mutua dal mondo meno ridente e più panem et circenses?
DLS: oltre ai già citati sandwich e alla rete di fast food che non può mancare nell'area urbana più grande al mondo, il mordi e fuggi giapponese per eccellenza è l'onigiri, la pallina di riso. La si trova insaporita con l'alga konbu (quella nera e secca dei maki) e con un ripieno di pesce, salse varie o umeboshi (prugne asprissime); anche più spesso, semplicemente, in bianco: una polpettona di riso immacolata.
Menzione d'onore per il sushi, che nasce proprio qui a Tokyo come cibo per chi ha fretta.
OERRE: hai presente l’intramontabile rubrica della Settimana Enigmistica “forse non tutti sanno che”? Ecco: cos’è che non tutti sanno che? Naturalmente quello che di curioso ti risulta sul pane, altrimenti temo che facciamo l’alba e, francamente, io già sono pessima in sonno-veglia...
DLS: allora, per non sbagliare, scelgo la materia in cui sono più ferrato e racconto qualcosa d’extraplanetario; prima di partire per qui, lavorando alla mostra della NASA di Milano ho familiarizzato con l’orrido cibo dei primi astronauti. Quei poveri cristi spaziali mangiavano solo gelatine. Perché, se le briciole sono fastidiose nel letto, in orbita ti possono uccidere... e non per dire! Il primo e unico sandwich nello spazio venne portato da John Young: fu rimproverato ma, visto che ormai era sopravvissuto alla prova dello strangolamento, andò finanche sulla Luna.
Qualche mese fa, invece, l’astronauta Parmitano ha cucinato dei biscotti sulla ISS, quindi c'è ancora speranza per la pagnotta spaziale.
OERRE: a questo punto ripuliamo dal briciolame e che ingrassasse i passeri e scrivi di te. Non di tè, che altrimenti ci risiamo, di te, tu e te stesso: sei in un momento industrioso? Come ti frequentiamo on line? E cosa segnali nei tuoi dintorni virtuali?
DLS: divido le mie giornate fra le lezioni di italiano e la scrittura: scrivo articoli, scrivo incipit di racconti e scrivo per rispondere all'amica Olga.
Quando mi và, carico un video sul canale YouTube GAM -vita universo e tutto quanto-. Ad oggi il video più visto è quello in cui intervisto quello dell'Avigan. Aiutatemi a far evolvere la cosa!
Per il resto, sapete già i miei alias.
Qui s’è fatto buio pesto, infatti digito a casaccio. Davide, invece, dovrebbe essere in un momento luminoso della giornata e dunque anche presente a se stesso. Spedisco la mia pan-cottiglia e, se ne saprete qualcosa qui, vorrà dire che il Giappone ha da dire la sua a riguardo. Altrimenti non ne saprete nulla perché non c’è nulla da sapere. Ma se state leggendo allora... e via dicendo fino alla fine del mondo: in quel caso avrete altro a cui pensare. Anzi: la fine del mondo è ormai quotidiano argomento di conversazione, quindi, magari, l’intervista qui sopra vi salverà come nel film di Mohsen Makhmalbaf.
NOTE E LINK, SOUNDTRACK E FILM
Si scrive ??????, si legge sandoitchi. Nient’altro che quel che permette la fonetica giapponese per pronunciare la parola sandwich. Mi chiedo: non si faceva prima a inventarsi un lemma inedito che gli imbrogliasse meno le lingue? D’altronde quando si tratta di una monarchia parlamentare... il paradosso è già nelle fondamenta. Opinione mia ovviamente, dunque Re, ministri: non arrestate il suddito o cittadino o quello che è Lizzardi Sivad.
Ritmo circadiano dispari: mutuo dal jazz che, quando suona ritmi dispari, complica assai le esecuzioni... presente Take five?
Beehive: Brubeck qui sopra? Ecco... i Beehive proprio non centrano nulla. E sono certa che non esista niente in tutta la loro discografia trash che vada più in là dei quattro quarti. In compenso i testi... a no.
Copioincollo da Wikipedia: “No Logo” è un saggio della giornalista canadese Naomi Klein, pubblicato nel gennaio del 2000. Il libro si occupa principalmente del fenomeno del branding e del movimento no-global, del quale “No logo” viene considerato uno dei testi di riferimento principali.
Ma si, facevo la spiritosa: ridente nel senso che a Oriente più che pasta e pane va il riso.
Il maestro del cinema iraniano Mohsen Makhmalbaf diventa noto in tutto il mondo nel 1997 con il film Pane e fiore. Nella scena finale un pane e un fiore sono simboli di speranza.
Di più, ad esempio, nel blog.