Panino, nome e destino
Il nome ‘panino’ è sfigato? Semmai modesto, sottomesso a quello di un lord inglese - lord Sandwich - che nell’Ottocento s’impone in tutta l’Europa qualunque cosa ci fosse nel mezzo: fette di roast-beef o burro e aringhe salate.
Per combattere i sandwich, gli italiani scelgono non il superlativo ma il diminutivo, senza ricorrere a cognomi nobiliari. Giacinto Carena lo definisce nel suo Vocabolario domestico nel 1851 “un piccolo panetto di fior di farina tratta dal semolino, e perciò di pasta bianchissima … che s’inzuppa nel caffè, nella cioccolata”. Non ci siamo ancora, perché è pasticceria, e bisogna scendere fra la gente qualunque per ritrovarlo simile al nostro. A Firenze, Rigutini e Fanfani chiamano nel 1875 panino gravido “un panino diviso per mezzo, e ripieno di salame, o di prosciutto o di altro … “. È il nostro, che rinuncerà ad essere gravido ma non imbottito, conservando denominazioni regionali e locali: a Milano micchetta (col salamm cott o crud) a Bologna panén. Inchiodato dunque al diminutivo di pane in doppia versione elegante o popolare.
Tutti i tentativi per chiamarlo in altro modo sono falliti o hanno avuto esito senza smorzare i conflitti, fra toast e tramezzini, per esempio. Che poi negli anni ’80 gruppi di giovani, a Milano e in tutta Italia, si siano definiti paninari, panozzi i maschi e panozzette le ragazze, con i loro panetti (confezioni di hascish), non ha giovato alla causa, aprendo semmai la strada agli hamburger e ai macqualcosa.
Ritorniamo al panino e alla panineria che hanno adottato suffissi colti, le paninoteche. Il diminutivo dispiace? Non possiamo tornare a pane e perché in mezzo c’è tutta una ricetta, carne o pesce, verdura e salse, e nemmeno fidarci troppo delle denominazioni commerciali, perché quando ottengono consenso e successo come un caprese – pane, pomodoro e mozzarella – perdono fascino e rinviando ad una somma di ingredienti, sempre gli stessi, suonano come una tiritera.
L’Accademia del panino italiano, per antonomasia, non rinuncerà al vecchio diminutivo di pane, semmai lo arricchirà di una storia e di tutte le varianti linguistiche e gastronomiche che esso sfoggia nel mondo. Solo in ambito dialettale non è un compito facile: basta confrontare la puccia pugliese con l’omonimo lombardo che significa sugo, intinto, e basta misurare il successo della parola panino nella letteratura gastronomica statunitense, nei ricettari in particolare, per ritrovar nel panino un neologismo. Viana La Place con Panini bruschetta crostini sandwiches italian style, nel 1994, ha rovesciato le carte e, detto da un americano, il panini (al plurale) ha un altro suono.