The story of sandwich...second step!
La presenza del sandwich nei ricettari italiani della metà dell’Ottocento è ad un tempo costante e marginale. La parola inglese per designarlo stenta ad entrare, suscitando dubbi e contrarietà, e nessuno osa banalizzarlo in panino. Vialardi, aiutante capo-cuoco e pasticcere della corte sabauda li prevede nel suo Trattato del 1854 ora con il nome ora di sanduvichs ora di tartine. Ecco le sue
Tartine al prosciutto
Fate tante fettine di mollica di pane raffermo larghe 3 centimetri, lunghe 8, e spesse uno scudo; copritele con un po’ di burro all’acciuga, mettetevi sopra una sottil fettina di presciutto dell’istessa dimensione del pane; coprite con un'altra fetta di pane dalla parte del butirro, e servitele.
Seguono i sanduvichs, stesso pane, stessa forma, con una purée di carne, di pollame, di cacciagione o di vitello, e ancora di prosciutto o di salame di Verona, cotta, fredda lavorata e condita. Il fromage d’Italie ha fatto scuola. “Ottimo piatto per stuzzicare l’appetito, e servitelo a déjeuner”.
La stessa incertezza linguistica, di fronte ad una parola d’origine inglese, transitata in Francia e giunta a sconvolgere l’ordine delle vivande, rivela Giuseppe Sorbiatti, capocuoco di case milanesi, ne La gastronomia moderna (1855). Come Vialardi se la cava con le sue Tartoline di caviale (Sanvik au Kavial) e con le Tartine d’alici all’inglese (Sanvik à l’anglaise). In entrambi i casi, le fette di pane sono spalmate e rispalmate di burro (al caviale o all’acciuga), nel secondo si depone altresì una fettolina di “giambone cotto o crudo”. I sanvik vengono serviti “per colazioni o antipasti di tavola” o più propriamente, essendo freddi e facili da trasportare e servire, per “partite di caccia e di campagna”. Sorbiatti ne prevede un buon numero e una certa varietà, senza darne la ricetta, con fettine di filetto, di vitello o di tonno. La ricerca è aperta.