Panini di letteratura. La scelta ferrea di Ian McEwan
Lo scrittore inglese torna in libreria con un attesissimo romanzo che, mentre riflette sul rapporto tra umano e macchina, costruisce un presente alternativo, anche tra le mura di una piccola cucina…
A cura di Flavia Fiocchi
C’era una volta un mondo in cui le macchine vivevano con noi. Non per noi. Uno stato d’eccezione. È un 1982 (lo stesso anno in cui Ridley Scott girava Brade Runner creandosi il “nostro” 2019 abitato da androidi) alternativo quello del nuovo romanzo, Macchine come me, dello scrittore inglese, Ian McEwan, già autore di Espiazione e Bambini nel tempo, che finisce con l’essere molto più vicino a noi di quanto pensiamo, di quanto i quasi quarant’anni che ci separano sembrano aver cambiato tutto: rapporto con la tecnologia, mode, abitudini, sentimenti, gesti, case. E mentre i Beatles sono tornati al successo, la politica britannica è nella bufera – si parla già di uscita dall’UE – la scienza, Allan Touring su tutti (sopravvissuto alla persecuzione nazista), sta ispirando una stagione di grandi evoluzioni tecnologiche, anche tra le mura di casa. Perché è in quella dimensione domestica molto umana che ammorbidisce i romanzi di McEwan che ci vogliamo buttare, tra le briciole di un toast e il pollo cucinato per cena, per capire che le grandi storie, tragiche a volte, ma di tutti, si consumano anche a tavola, masticando, mescolando, tagliando, leccando. Quale potrebbe essere quindi il panino più amato dal romanziere inglese? Sia chiaro, è tutta farina del nostro sacco, ma dopo aver affrontato le sue stanze segrete, l’impareggiabile abilità a destrarsi tra i grandi temi del presente – malattie, politiche deformate, emotività sanguinante, rapporti fragili, guerre e meschinità – ci sentiamo di rischiare sperando possa diventare un appuntamento ricorrente. La nazionalità britannica gli farebbe probabilmente preferire un pane bianco, morbido ma dal profumo deciso, forse ottenuto con lievito madre, poi potrebbe seguire quel dualismo che la sua macchina Adam non può prescindere: esiste il vero e il falso, la giustizia e l’ingiustizia, il bene e il male, e scegliere un arrosto di tacchino, magari profumato alle erbe, nato certo dalla fantasia umana, dalla voglia di mistificare, ammorbidire, invogliare. E l’uomo fa così, mente per sua stessa condizione, e accosta una carne delicata a un vegetale carnoso e vitaminico come lo spinacio. Fresco perché possa mantenere croccantezza e proprietà. E se è vero che un robot – secondo le celebri leggi della robotica di Isaac Asimov – non può recar danno all’essere umano, anche un panino deve essere un momento di piacere: una decisa spatolata di senape in grani. L’equilibrio non è semplice, la risposta non è immediata, sembrerebbe dirci anche McEwan, quando affronta, nel centro del romanzo, il tema morale della vendetta, ma noi oggi vogliamo fermarci qui, sentendo la nostra differenza biologica dall’artificialità di una macchina, optando per una spolverata di semi di papavero, forse un’imperfezione, che ci fa essere molto umani.