La vera storia del toast
Il toast è una specie di “religione” che conta adepti affezionati e piuttosto… intransigenti. Il segreto di questo (apparentemente) semplice panino sta infatti sia negli ingredienti – facile liquidarli con un «basta avere pane, prosciutto cotto e una sottiletta» – che nella cottura, a cui varrebbe la pena dedicare un saggio antropologico d’approfondimento.
A cura di Marianna Tognini
D’altronde, da anni si dibatte circa la preparazione perfetta del toast come attorno a un film di Terrence Malick, senza però trovare una versione che metta d’accordo tutti.
Se entrare a gamba tesa nella discussione è paragonabile un viaggio senza ritorno, di certo c’è la sua storia, che parte dall’etimologia del nome. Si parla di toast negli scritti di autori romani come Apicio: in latino tostum equivale ad “abbrustolito”, “tostato”, ma gli storici della gastronomia ne individuano la nascita qualche secolo dopo.
Nel francese antico, tostée significava infatti «bere alla salute di», con riferimento all’usanza medioevale di porre una fetta di pane arrostito su una coppa di vino aromatizzato. La coppa veniva poi fatta circolare fra i presenti, ma la fetta di pane spettava di diritto al festeggiato, che beveva per ultimo.
Nel «Grande Dizionario di Cucina» di Alexandre Dumas si narra che la regina Anna Bolena, seconda moglie di Enrico VIII Tudor, soleva fare il bagno circondata da numerosi gentiluomini, i quali per farle la corte si dissetavano attingendo l’acqua dalla sua vasca con un bicchiere. Uno solo si astenne dal seguire la massa: quando gli fu domandato perché non facesse come gli altri, egli rispose: «È perché mi riservo il toast».
Le prime ricette riportano preparazioni assai pregiate, dove il pane bianco era spesso accompagnato da cacciagione per ristorare i nobili di ritorno dalle loro battute di caccia. Ciononostante, il successo del toast non derivò tanto dalle nobili origini, quanto dalla semplicità e dal suo essere diventato col tempo un cibo democratico, per tutte le tasche.
In principio ci fu la padella: gli antenati dei toast erano cotti su un tegame riscaldato sul fuoco vivo, e la fetta di pane veniva abbrustolita da un lato solo. A seguire, si pensava alla farcitura. Con l’arrivo del toaster, la macchina che rese famosi questi panini, il tostapane diventò elettrico. Correva l’anno 1893, ma l’invenzione di Mr. Alan MacMasters non ebbe grande successo data la scarsa diffusione dell’elettricità, che rendeva tale elettrodomestico pressoché inutile.
Il boom giunse qualche decennio dopo, quando nel 1919 Charles Strite inventò il tostapane col timer e con un metodo di fuoriuscita automatico del pane, che permetteva di non farlo bruciare.
Da lì, il toast divenne una moda declinata in base ai gusti e alle nazioni. In America è maxi e ha una farcitura ricca di salse e “fantasiosi” extra; in Francia è un semplice prosciutto e formaggio come in Italia; in Gran Bretagna è invece l’accompagnamento immancabile dell’english breakfast.
Paese che vai toast che trovi quindi, basta non dimenticare mai i fondamentali. Per un sandwich perfetto, il primo elemento da tenere in considerazione è il pane: possibilmente in cassetta, come l’italiano pancarré, con uno spessore medio. Il secondo è la scelta degli ingredienti: il prosciutto e il formaggio (la fontina ha le qualità migliori per la tostatura, ma altri formaggi a pasta compatta sono ugualmente adatti) devono essere – va da sé – di ottima qualità e non troppo sottili.
In merito alla cottura, come anticipato, le opinioni (e le preferenze) sono discordanti. Gli esperti suggeriscono di regolare il calore del tostapane a una temperatura media per almeno 3 minuti, in modo tale che il formaggio non coli eccessivamente. Una volta pronto, occorre far riposare il toast circa 30 secondi per poterlo gustare at its best. C’è pure chi lo cuoce in forno, previa tostatura del pane, in barba a ogni scetticismo. Come scriverebbe Paolo Sorrentino, «Hanno tutti ragione»: un punto di vista univoco non esiste, e allora tanto vale cedere alla sua bontà quando si vuole, come si vuole!